Prima dei pionieri. Pozzi di petrolio scavati a mano.

Quando, poco prima della metà del XIX secolo, ha inizio la caccia all'oro nero nell'Appennino Emiliano, il sito di Neviano de' Rossi e Vallezza è al centro degli interessi dei primi esploratori di Petrolio. I punti in cui saggiare il terreno alla ricerca di idrocarburi non sono ancora guidati da studi gravimetrici e sismici, e il terreno viene perforato in base a deduzioni logiche o fortunate intuizioni, nelle imediate vicinanze delle manifestazioni superficiali. Il primo pozzo scavato Vallezza porta la data del 1830.

I pozzi petroliferi, in questa fase, sono eseguiti a mano, con strumenti rudimentali e tecniche di perforazione simili a quelle usate per i pozzi dell'acqua. Le condizioni in cui lavorano i cosiddetti "Pozzari" sono estremamente precarie: si scava nella totale assenza di fonti luminose, praticamente immersi in una miscela di fango e idrocarburi, dalla quale esalano gas nocivi. L'abate Antonio Stoppani, nel volume “Il Bel Paese. Conversazioni sulle bellezze naturali la geologia e la geografia fisica d'Italia” (1876), descrive la tecnica di perforazione, in cui i Pozzari, assicurati a una corda si calano all'interno del pozzo. Egli parla di turni di due operai che si alternano velocemente per resistere alle condizioni estreme di lavoro. Il primo rimuove con il piccone una piccola quantità di terra e risale in superficie, il secondo scende per riempire il secchio di acqua, fango e idrocarburi e risale, per ultimo viene tratto in superficie il secchio, che viene assegnato ad altri operai per separare, con metodi rudimentali gli idrocarburi dall'acqua e dal fango.

Dal 1905 al 1933. Il metodo di perforazione Canadese-Pensylvano.

Dal momento della fondazione della SPI si introducono a Vallezza impianti di perforazione a percussione che riprendono il modello americano.
Gli impianti più arcaici sono del tipo "Canadese" e il loro funzionamento è basato sull'impiego di uno scalpello a punta o a lama che viene assicurato in fondo ad un'asta con snodo. Grazie a una puleggia fissata al vertice di una "capra" (rudimentale torre di perforazione composta da tre aste collegate alla sommità), che più tardi viene sostituita da una torre chiamata "Derrick", lo scalpello è sollevato e fatto ricadere sul terreno in modo da perforarlo. I detriti della perforazione sono estratti a intervalli, grazie a uno speciale scalpello cilindrico affilato in basso e dotato di valvola: la “cucchiara”. Questa viene inserita nel foro con la valvola aperta, in modo che i detriti possano penetrare nella parte cava del cilindro. Una volta riempito il cilindro la valvola viene chiusa, e, estreando la cuccchiara dal pozzo, vengono rimossi i detriti.

Nel 1905 i motori che imprimono il movimento al bilanciere sono macchine a vapore alimentate a carbone, ma già nel 1911 Luigi Scotti compie un'innovazione importante, investendo in un impianto di separazione del gas dall'acqua che permette di conservare il gas di estrazione. A questo punto egli fa convertire i motori per i pozzi in perforazione, alimentandoli con il gas estratto dalla miniera.

Negli anni Venti la SPI introduce i nuovi sistemi di perforazione del tipo chiamato "pensilvano”. Il funzionamento è del tutto analogo a quello degli impianti “canadesi” ma lo scalpello o la cucchiara sono movimentati non da aste avvitate, bensì da robuste corde in canapa, che vengono in seguito sostituite da cavi metallici. A Vallezza vengono impiegati anche impianti ibridi, del tipo definito “canadese-pensilvano” oppure “canadese combinato”, un sistema più compleso che fa lavorare gli scalpelli sia con aste rigide che con funi. Nonostante a partire dalla metà degli anni trenta la tecnologia muti radicalmente, i “canadesi combinati” sono impiegati ancora, sia pur raramente, alla fine degli anni quaranta. 

Dopo il 1933. Gli impianti di perforazione Rotary

Nel 1933, lo stesso anno della scomparsa del fondatore Luigi Scotti, la SPI, sotto la gestione della Standard Oil & Co importa il primo impianto “Parkersburg National Portable”, introducendo a Vallezza l’innovativo sistema di perforazione “rotary”, che consente di trivellare a profondità maggiori rispetto ai 600 metri consentiti dagli impianti più arcaici.
Il terreno viene perforato grazie a uno strumento chiamato “scalpello a tre coni”. Questo presenta tre teste diamantate e riesce a perforare senza problemi anche le rocce più dure. La perforazione avviene per rotazione della testa che è fissata all’estremità di un tubo, fatta ruotare e contemporaneamente spinta contro la roccia sul fondo del pozzo, grazie a un sistema di aste che vengono avvitate l'una sull'altra ogni 9 metri, man mano che si penetra nel terreno. Il “fango di perforazione” o “fango di circolazione” ha qui un ruolo importantissimo. Innanzitutto esso serve a mantenere il condotto in pressione, poi ha il compito di portare in superficie i detriti generati dallo scalpello, infine esso in fase di discesa ha il compito di raffreddare le teste dello scalpello mentre quando risale serve a lubrificare l'impianto.